Energia Elettrica, In Primo Piano, Post in evidenza, Regioni, Rinnovabili, Ritratti
Rinnovabili e Regioni, cresce il dibattito sulle compensazioni
di Tommaso Barbetti* e Giovanni Galgano**
“Il fotovoltaico nulla porta agli interessi economico-sociali della Sicilia”.
Così si è espresso qualche giorno fa il presidente della Regione Sicilia Renato Schifani, annunciando l’intenzione di sospendere, entro un lasso di tempo comunque non definito, il rilascio di nuove autorizzazioni uniche in Sicilia.
Comprensibilmente le dichiarazioni hanno suscitato un forte allarme nel settore, anche se le parole di Schifani sono state ricalibrate in una successiva e più sfumata precisazione.
La Sicilia rappresenta oggi il primo mercato italiano nello sviluppo di impianti fotovoltaici, invero con apprezzabili esiti anche in termini di rilascio di autorizzazioni: secondo dati Elemens e dell’Osservatorio RE.gions2030, nel 2023 la regione governata da Schifani (e precedentemente dall’esponente di Fratelli d’Italia Musumeci, oggi ministro per la Protezione civile e le politiche del mare) ha già autorizzato progetti solari per 1.063 MW (l’86% dell’intero autorizzato nazionale, una quota più che ragguardevole).
L’annuncio di Schifani è stato condito con una serie di considerazioni (tra tutte quella secondo cui l’energia “non resterebbe in Sicilia”) che, pur essendo di contorno, hanno invece catturato l’attenzione del dibattito.
Per chi scrive, il “dato politico” contenuto all’interno della posizione del governatore siciliano non risiede tanto nella supposta opposizione alle rinnovabili (che ragionevolmente non esiste), quanto invece nel (pur legittimo) desiderio che le rinnovabili forniscano un contributo tangibile in termini di riduzione della bolletta nel territorio in cui trovano albergo.
La serie di chi chiede una sorta di compensazione per ospitare infrastrutture energetiche ha già avuto precedenti con i casi upstream in Basilicata, Tap in Puglia e rigassificatore a Piombino. Ma con le dichiarazioni di Schifani si fa un evidente salto di qualità, come testimonia il fatto che, a distanza di pochi giorni, gli abbiano fatto eco i presidenti di Calabria e Basilicata. Diverso invece il caso del presidente della Regione Lazio Rocca, che – al cospetto del sottosegretario alla Cultura Sgarbi – ha invece esibito un repertorio più classicamente anti-rinnovabilista.
Sul tema, la prima tentazione dell’analista sarebbe quella di rispondere dimostrando che sì, le rinnovabili possono certamente produrre un risparmio per i consumatori mediante il peak shaving sui mercati all’ingrosso.
Risposta tecnicamente corretta, ma che, evidentemente, lascia l’interlocutore politico insoddisfatto, non essendo tali elementi immediatamente e sufficientemente percepibili (e soprattutto non trasferibili al livello dei consumatori locali per via della presenza del PUN, introdotto per ironia della sorte proprio a tutela dei consumatori siciliani).
Sembra dunque inevitabile spostare il dibattito sul tema delle “compensazioni”.
Misure compensative finanziate dagli operatori delle fonti rinnovabili già esistono, essendo disciplinate dal Dlgs 387/2003 e dalle Linee Guida per l’installazione degli impianti a fonti rinnovabili del 2010, in un quadro in cui teoria e pratica tendono fatalmente a divergere.
In teoria si tratta infatti di misure compensative di carattere non patrimoniale (dunque sarebbe più opportuno parlare di opere compensative), da versare esclusivamente ai comuni che ospitano impianti rinnovabili, in una misura comunque inferiore al 3% del fatturato dell’impianto e solo qualora sussista un danno ambientale che sia meritevole, appunto, di compensazione. Nella pratica, si sono trasformate in misure (in alcuni casi anche direttamente patrimoniali) che scattano automaticamente come richiesta da parte dei comuni nei confronti di quasi tutti gli impianti, con richieste tendenzialmente allineate al massimo consentito della legge.
Non è dunque fattualmente corretto sostenere che gli impianti rinnovabili non lascino nulla sul territorio che li ospita.
Evidentemente però il portato di questi interventi non è generalmente percepito, rendendo dunque la misura di fatto inefficace.
A nostro avviso non è una questione di quantum, ma di modalità di impiego delle risorse stanziate: uno sconto in bolletta per i residenti di comuni che ospitano gli impianti (o Regioni che rispetteranno il burden sharing, una volta definito) verrebbe certamente valutato in modo differente rispetto, per esempio, alla realizzazione di un campo di tennis o di un tetto fotovoltaico su un edificio pubblico.
Non si può tuttavia nascondere che una revisione complessiva delle misure compensative legate agli impianti a fonti rinnovabili incontrerebbe un processo molto complesso e lungo, anche dal punto di vista regolatorio, e nasconderebbe tante insidie per chi investe (la prima: evitare che le nuove compensazioni si sommino a quelle già esistenti).
Un’ipotesi di revisione potrebbe rappresentare anche un piano inclinato dal punto di vista concettuale: riconoscere in automatico una misura compensativa in bolletta significherebbe implicitamente ammettere la presenza di un danno da compensare. Danno che è tutto da dimostrare.
È dunque indispensabile fare i conti con l’attuale scenario regolatorio, ma anche con quello politico, e il mercato (crediamo) lo sa bene. A operatori delle rinnovabili e decisori spetta sedersi, se possibile velocemente, intorno a un tavolo e trovare soluzioni che cerchino il giusto equilibrio tra esigenze locali, obiettivi industriali e necessità strategiche a medio e lungo termine.
*Partner Elemens **Managing Director Public Affairs Advisors
Elemens e Public Affairs Advisors sono i coordinatori del progetto RE.gions 2030