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Idrocarburi, Produzione di Energia, Senza categoria, Sistema idrico, Sostenibilità

L’Agenzia per l’Ambiente USA scagiona il fracking: nessun rischio per le acque

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Posted: 11 Giugno 2015 alle 10:34   /   by   /   comments (0)

La tecnica di estrazione di gas mediante il fracking non comporta di per sé alcun rischio per le falde acquifere. Così sancisce l’EPA, l’autorevole Agenzia per la Protezione Ambientale statunitense, che nei giorni scorsi ha pubblicato sul proprio sito le analisi condotte e i risultati ai quali è pervenuta, raccolti nello studio “Assessment of the Potential Impacts of Hydraulic Fracturing for Oil and Gas on Drinking Water Resources”. Il rapporto, benché non finalizzato ad attività di policy, è destinato a “fare scuola” nei futuri dibattiti sul livello di rischio e le responsabilità connesse alle attività di estrazione di gas non convenzionale nei casi di contaminazione delle acque del sottosuolo.

Come è noto, negli Stati Uniti si è compiuto negli ultimi anni un’importantissima “rivoluzione energetica” che ha concentrato gli sforzi proprio sullo sfruttamento dei giacimenti di shale gas, rendendo il Paese indipendente sul fronte dell’approvvigionamento degli idrocarburi gassosi.

La tecnica del fracking – o fratturazione idraulica – favorisce il rilascio degli idrocarburi intrappolati in rocce (da qui shale gas) che vengono, appunto, frantumate attraverso l’iniezione di sabbia e liquidi ad alta pressione nei pozzi che si sviluppano in senso orizzontale. Per altro questa tecnica – chiamata non convenzionale perché si differenzia dai “tradizionali” pozzi verticali – permette di rendere nuovamente sfruttabili vecchi giacimenti, impossibili da sfruttare ulteriormente con le tecniche convenzionali.

Leggendo quindi il rapporto, basato su di un lavoro di ricerca durato quattro anni, si legge che:

“Non è stata riscontrata alcuna evidenza che le tecniche di perforazione idraulica abbiamo determinato un rischio diffuso e sistematico per le falde acquifere del territorio degli Stati Uniti. Sono stati rilevati uno o più casi specifici in cui il fracking ha avuto un impatto sulla qualità delle risorse idriche, inclusa la contaminazione delle falde, e tuttavia tali casi sono di gran lunga numericamente inferiori rispetto alla totalità di pozzi perforati su tutto il territorio con la tecnica di fratturazione idraulica presenti. Possono quindi essere stati altri fattori ad aver generato gli effetti inquinanti: scarsità di informazioni sulla qualità delle acque potabili pre e post fratturazione; carenza di studi condotti con continuità e sul lungo-periodo; presenza di altre fonti di contaminazione, escludendo quindi un collegamento diretto tra fracking e impatto sulle risorse idriche”. Il documento dell’agenzia governativa statunitense, in conclusione, non raccomanda alcuna azione specifica per limitare l’impatto ambientale del fracking.

Lo studio rappresenta un interessante contributo scientifico alla ricerca sugli impatti sulle falde acquifere derivanti dall’attività di fracking e cerca di fare chiarezza su un tema rispetto al quale voci – spesso incontrollate e non altrettanto autorevoli – hanno ingenerato allarmi altrettanto spesso ingiustificati. Dai terremoti, all’inquinamento delle acque, molto si è attribuito al fracking, e non solo negli Stati Uniti, ma anche in Paesi europei nei quali la tecnica è autorizzata (ad esempio il Regno Unito). Persino in Italia il dibattito “No fracking” è accesissimo e il suo spettro è agitato in quasi ogni progetto estrattivo: questo avviene nonostante il nostro territorio non sia strutturalmente adatto alla “frantumazione” ma soprattutto, nonostante la legge vieti categoricamente qualsiasi attività di estrazione di shale gas. Ma questa è un’altra storia.

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