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La salute del biotech italiano. Comparto modello e avanguardia anti Covid-19

Posted: 29 Maggio 2020 alle 10:13   /   by   /   comments (0)

di Mattia Fadda

I numeri del biotech in Italia del mondo pre-Covid sono in crescita e raccontano un settore non mastodontico ma fondamentale per l’economia nazionale.

Il 13 maggio scorso Assobiotec, l’associazione confindustriale del comparto, ha presentato il tradizionale rapporto annuale realizzato insieme ad Enea. 13 mila addetti impiegati in 700 imprese, da Nord a Sud del Paese, e 12 miliardi di euro di fatturato nel 2019 con una crescita media annua del 5% dal 2014 ad oggi. L’impatto di Covid-19 si farà certamente sentire anche qui ma difficilmente atterrerà un comparto che è avanguardia nella lotta contro le malattie in una congiuntura in cui la spesa media globale pro capite in farmaci pare non si contrarrà molto. Il 49% delle imprese italiane biotech, infatti, ha come settore di applicazione prevalente quello legato alla salute.

Da come emerge in una survey realizzata dall’associazione presso i propri associati durante la fase più acuta della pandemia – “Biotech vs Covid19” – il 57% dei capi azienda rispondenti ha dichiarato di essere impegnato a ricercare o produrre soluzioni contro Covid-19.  Il 7% di queste eccellenti imprese italiane (circa 50) sarebbe addirittura coinvolto – spesso all’interno di una catena del valore globale – nella ricerca e nello sviluppo proprio di un vaccino.   

Al di là che si ottengano e commercializzino presto vaccino e farmaci specifici efficaci contro la patologia Covid-19, il sistema-Paese guardando al futuro farebbe bene ad investire nel biotech italiano. Venalmente perché la bioindustria è ineluttabile e ne prossimi anni renderà molto bene a chi deciderà di investire sia sui big del settore che sulle start-up più promettenti. Sul fronte invece degli investimenti pubblici promuovere e finanziare formazione universitaria, ricerca di base nelle biotecnologie e R&S applicata sarebbe una scelta logica quanto intelligente. Non tanto per farsi trovare pronti per la prossima epidemia, quanto per affrontare l’endemia della disoccupazione che affligge l’Italia.