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Amministrative: M5S marginale per il vincolo dei due mandati. Lega tinta di blu vince senza crescere

Posted: 2 Luglio 2018 alle 11:08   /   by   /   comments (0)

Di Mattia Fadda

Con l’accordo sulle politiche migratorie al Consiglio Europeo della scorsa settimana, i partiti hanno superato con un solo balzo il dibattito sulle elezioni amministrative di giugno. Nessun grande terremoto post elettorale: il risultato ha semplicemente corrisposto alle aspettative della vigilia, con poche sorprese. Gli effetti sul quadro politico delle amministrative sembrano interessare ormai gli specialisti e preoccupare solo le fazioni interne ai partiti. E pensare che elementi di riflessione ce ne sarebbero.

A chi interessa (davvero) l’affluenza? Ai politologi che misurano la febbre delle democrazie. Ai giornalisti, ma solo nelle sedici ore che li separano dagli exit poll. Probabilmente non interessa ai partiti preoccupati soprattutto dei suffragi espressi e in particolare dell’ultimo singolo voto, quello marginale. Nei 761 comuni italiani chiamati al voto il 10 giugno hanno votato al primo turno il 61% degli aventi diritto contro il 67% del 2013. Lieve il calo della partecipazione ai ballottaggi del 24 giugno nei 75 comuni superiori ai quindicimila abitanti (circa 3 milioni di elettori), un calo rispetto ai 67 spareggi del 2013: 47% vs 48,5%. Un decremento tutto sommato contenuto tra il 2013 e il 2018 che fa presagire una stabilizzazione dei comportamenti legati alla propensione al voto: numeri bassi ma non drammatici.

Chi ha vinto? Pur con diversi accorgimenti è possibile gettare il voto amministrativo (che ha proprie regole e prassi) all’interno del frullatore della politica nazionale. Nei comuni che votavano a turno unico (in questo caso erano 650 circa) non è stato facile misurare le performance dei partiti, mentre dalle 109 “città” sopra i 15.000 residenti ci sono pervenute indicazioni chiare. In attesa del solito lavoro esaustivo, l’Istituto Cattaneo ha svolto alcune prime analisi dei risultati sia del primo che del secondo turno. Fra gli altri anche il magazine on line YouTrend, progetto editoriale di Quorum, ha fornito passo passo numeri e interpretazioni dei risultati.

In sintesi: il centrodestra ha vinto da Nord a Sud del Paese. L’offerta politica della destra nei 109 comuni di grandi dimensioni ricalcava quella delle elezioni politiche del 4 marzo, e cioè Lega, FI, FdI e liste civiche centriste. Non c’è mai un’esatta corrispondenza dell’offerta politica fra elezioni di diversa taglia, fra territori diversi nella stessa consultazione e fra le elezioni amministrative nei vari periodi. A rendere complesse comparazioni e analisi ci sono le liste civiche e liste del sindaco largamente utilizzate sia dal centrodestra che dal centrosinistra. Come noto, invece, il M5s presenta solo il proprio simbolo senza alcuna lista a supporto. In questa tornata le cinque stelle comparivano su 89 delle 109 schede elettorali delle città. FI in 83, il PD in 77 e su 76 schede compariva quello della Lega. Presentarsi da soli impedisce ai pentastellati di moltiplicare le candidature e racimolare voti raminghi, ma è una scelta che permette d’altro canto di rinsaldare l’univocità del messaggio e la compattezza del brand elettorale da spendere poi in elezioni dove la dispersione non è un valore.

Se si osserva perciò l’esito elettorale con le lenti consegnateci dalle consultazioni del 4 marzo scorso, cioè quelle tripolari, il centrodestra a trazione leghista vince bene, il centrosinistra perde, il M5s conferma le sue difficoltà nelle competizioni locali. Se la destra controllava 20 dei 109 comuni al voto ora ne amministra 42. Il Centrosinistra passa da 57 a 26, mentre il M5s con il 33,7% delle politiche (ma addirittura il 40% circa se consideriamo come hanno fatto YouTrend e Istituto Cattaneo solo quei comuni al voto a giugno) passa da 4 comuni a 5 sindaci appena.

In ordine alle percentuali di voto alle liste, si registra un tracollo del M5s rispetto alle elezioni politiche di marzo (dal 39,4% al 10,6% nei comuni sopra i 15 mila abitanti in cui si presentava) e un lieve aumento, meno di due punti percentuali, rispetto alle amministrative del 2013. Il PD rimane la prima lista nella media dei comuni in cui si presenta, ma cala di oltre quattro punti percentuali rispetto al 2013 (dal 23,5 al 19,0%). Dinamica simile per FI che però arriva a perdere in cinque anni addirittura 1/3 dei voti. Stesso calo in soli tre mesi anche fra le politiche e le comunali per i berlusconiani. Il Partito Democratico conferma la sua crisi ma come per la Lega, seppur con parabole elettorali opposte, dalle elezioni di marzo a quelle di giugno risultano le forze più stabili. La Lega si impone perché cresce in senso relativo il suo peso all’interno della coalizione di centrodestra, non di certo perché aumenti in questi comuni i suoi consensi rispetto al 4 marzo (13,4% alle politiche contro il 12,9% delle amministrative ma un incremento del 30% rispetto alle comunali del 2013). In Lombardia la Lega triplica i voti di Forza Italia, invertendo definitivamente i rapporti di forza all’interno della (fu?) coalizione.

Sia la vocazione al governo municipale della sinistra italiana che l’esistenza stessa di alcune amministrazioni che avevano ben operato (vedi Brescia e Ancona) sono state in parte preservate dalla discreta tenuta delle liste civiche di sinistra. Ma se in alcune zone queste liste hanno potuto colmare il crescente gap di consensi, nelle zone rosse (Pisa, Massa e Siena su tutte) queste spugne civiche non hanno potuto assorbire il copioso deflusso di voti e opporsi così al soccorso grillino in favore del candidato di centrodestra arrivato al secondo turno.

Dal tripolarismo del 4 marzo al bipolarismo municipale? La conferma dei limiti del M5s nelle elezioni locali ha consentito all’Istituto Cattaneo di annunciare il ritorno in Italia di un bipolarismo municipale. Candidati con scarso appeal e impossibilità di spendere i volti televisivi per la regola del limite dei due mandati hanno inchiodato il M5s ad un risultato marginale. Un grande potenziale di consenso che non riesce ad esprimersi proprio su base locale dove il Movimento nacque con i meet-up civici. Il vincolo dei due mandati diventa zavorra per il M5s. Addirittura 16 dei 23 membri leghisti al governo sono stati amministratori locali. Una bagaglio inestimabile in termini di esperienza amministrativa e retaggio politico. Fra la delegazione pentastellata di 33 membri, invece, non c’è un solo ministro o sottosegretario che abbia avuto una esperienza in giunte e consigli comunali. Il vincolo ai due mandati depaupera il movimento di competenze e impedisce ai grillini di essere competitivi in alcune realtà locali, dove il gap di notorietà del candidato non può essere colmato nei venti giorni di campagna in cui la soglia di attenzione degli elettori è massima.

Intanto il pentolone della sinistra continua a borbottare ma il punto di ebollizione non è stato ancora raggiunto; il PD per ora non è evaporato. La Lega ha guadagnato posizioni drenando voti ai propri alleati (per quanto ancora?) di centrodestra senza sfondare per ora il campo grillino. Gli elettori di “fede pentastellata” che al primo turno non hanno scelto il Movimento pare abbiano in maggioranza optato per l’astensione piuttosto che per le sirene salviniane. Quando invece il candidato 5 stelle non ha avuto accesso al ballottaggio, la scelta di chi ritornava alle urne è caduta (a parte eccezioni come Ancona e Teramo) sul candidato del centrodestra (qui i flussi di voto primo-secondo turno dell’Istituto Cattaneo in alcune città).

A chi darà spinta propulsiva l’esito elettorale delle amministrative? Senz’altro a Salvini che forte del risultato ha accelerato sui respingimenti delle navi-soccorso delle ong e dal palco di Pontida ha annunciato trenta anni di governo della Lega in maglietta blu. L’impressione è che il Governo Conte possa invece trarne giovamento solo a patto di azionare il propulsore termico, quello leghista che scalda, ruggisce ed emette fumo, a discapito di quello elettrico grillino, pulito e meno rumoroso che ne ha consentito l’abbrivio ma che ora sembra porre grandi dubbi in merito alla sua capacità di trasformare il programma in leggi dello Stato.