Dalle Istituzioni, Governo, In Primo Piano, Post in evidenza
Cosa succede quando un Governo resta in carica per gli affari correnti?

di Matteo Apicella
Quando il Presidente del Consiglio si dimette, sia a seguito di un formale voto di sfiducia parlamentare, che a seguito di una crisi extraparlamentare dovuta al mancato sostegno delle forze di maggioranza, l’intero Governo cade e, fino al giuramento (e poi alla votazione della mozione di fiducia) del nuovo Esecutivo, entra in regime di prorogatio cioè resta in carica per gli affari correnti.
Sicuramente in questo lasso di tempo il Governo non è nella pienezza dei suoi poteri, e naturalmente la sua attività è limitata. Ma quali sono quindi i poteri dell’Esecutivo? In questo senso, procedendo con ordine, a livello generale, l’opinione maggioritaria è che l’Esecutivo non potrebbe che compiere gli atti dovuti ed obbligatori e tutti quelli la cui proroga comporterebbe un apprezzabile danno dello Stato, ed astenersi, sul piano della correttezza politica, da tutti quegli atti discrezionali (e quindi di indirizzo politico) che possono essere rinviati al futuro Governo senza apprezzabile danno.
A delimitare però in maniera più precisa l’attività del Governo durante questo periodo, con i conseguenti limiti, è la direttiva del Presidente del Consiglio sugli affari correnti. Occorre innanzitutto specificare che l’emanazione di quest’atto, indirizzato a Ministri, Viceministri e Sottosegretari, non è prevista in alcuna fonte di diritto positivo (Costituzione, legge ordinaria o fonti secondarie): la sua adozione si è sviluppata come prassi, per garantire ed attuare il principio di continuità dell’azione amministrativa dell’Esecutivo. A livello di contenuto, esso presenta una struttura tendenzialmente ricorrente, con una divisione in paragrafi per ciascuna delle attività dell’Esecutivo nel disbrigo degli affari correnti: gli obiettivi generali che il Governo si pone, i limiti all’attività normativa, l’enunciazione degli atti e delle nomine che potranno essere fatte, con i conseguenti limiti, e la gestione delle relazioni internazionali. È inoltre presente un riferimento alle attività normative necessarie legate a scadenze europee o all’emanazione di decreti legge o legislativi (gli atti obbligatori o necessari). È altrettanto naturale, soprattutto non essendoci un preciso contesto normativo a cui fare riferimento, che il contenuto della direttiva sia naturalmente influenzato da fattori contingenti, due fra tutti: gli eventi sociali, economici ed internazionali del momento e il motivo per cui vi è stato un cambio della maggioranza che sostiene il Governo.
Si possono portare a questo punto due esempi. Il primo è quello della direttiva del Governo Draghi che, a fronte di significative urgenze sul piano interno ed internazionale, dal contrasto al Covid-19 alla guerra in Ucraina, fino soprattutto all’attuazione del PNRR, ha allargato molto il perimetro dell’attività del Gabinetto, ricomprendendo ad esempio tra gli “atti urgenti” anche quelli volti al contrasto delle succitate emergenze. È poi parimenti intuitivo che, prendendo ad esempio i due casi estremi, un Governo sfiduciato dalle Camere non possa avere lo stesso margine di manovra di uno rimasto in carica sino allo scioglimento delle Camere per naturale scadenza della legislatura, proprio perché nel primo caso è stata certificata la mancanza della maggioranza su cui lo stesso si reggeva e quindi il rifiuto netto dell’indirizzo politico sino ad allora perseguito.