Newsletter subscribe

Registrandoti accetti la nostra informativa sulla Privacy

Dai territori, In Primo Piano, Sostenibilità

Le e-protesta ai tempi della cittadinanza online

rapporto #NO2.0
Posted: 18 Maggio 2015 alle 11:35   /   by   /   comments (0)

No Tav, No Mose,  No Triv, No Dal Molin, No Expo, No Scorie, No biomasse. Si moltiplicano le sigle dell’esercito dei No frastagliato in un puzzle di gruppi territoriali e nazionali che trovano nel Web delle formule di coinvolgimento più fluide e immediate che favoriscono un coinvolgimento “dal basso” con una partecipazione flessibile anche intermittente.  Nell’e-protesta, la Rete che fino a poco tempo fa era uno dei tanti canali di comunicazione, oggi invece ne costituisce il fulcro della protesta e il motore. Dalla web nasce ogni malcontento e dal lì si diffonde… Ma come comunica il dissenso sul web? Quale linguaggio predilige? Quali piattaforme? Che cosa caratterizza e unisce questi nuovi “corpi intermedi”?

Ne parliamo con Giovanni Galgano direttore di Public Affairs Advisors, società di consulenza strategica, che assieme Fleed Digital Consulting, agenzia specializzata nella comunicazione web, ha pubblicato un interessante Rapporto NO2.0 dove si analizzano gli aspetti della comunicazione del fenomeno dell’opposizione a infrastrutture, grandi reti e investimenti industriali visti dalla Rete.

Da Scanzano Ionico al NoExpo passando per le varie altre sigle, come si è evoluta la fenomenologia della protesta dal punto di vista della comunicazione?

Negli ultimi anni si è registrato un cambiamento epocale. Il Web e i Social Media oggi dominano la scena, fanno nascere (e morire) iniziative di opposizione, trasferiscono sulla “strada” la contestazione, e non accade più il contrario.

Rispetto a 10 anni fa che cos’è cambiato nelle modalità di protesta e opposizione?

Nei contenuti poco. Naturalmente le opposizioni sono legittime e non ne discutiamo la fisiologica esistenza democratica: possiamo forse discutere l’utilizzo di fonti approssimative, la veicolazione di messaggi non propriamente scientifici. Ma è la stessa critica che i movimenti rivolgono alle aziende o a chi propone nuovi insediamenti industriali o opere. E’ il gioco delle influenze.

Sono movimenti Glocal ideologici o proteste confinate allo specifico del territorio?

Entrambi e con un continuo contatto, una costante osmosi di forme e contenuti della protesta. Alcuni temi sono diventati globali (o nazionali), come l’opposizione alla ricerca ed estrazione di idrocarburi: partirono anni fa da specifici territori maggiormente interessati, per la verità un po’ sottovalutati da chi doveva informare la popolazione sulle caratteristiche ambientali e industriali del settore estrattivo.

Come aiuta il web la mobilitazione del dissenso?

E’ centrale perché oggi fa nascere la singola protesta e la diffonde sui territori. Non accade più, come fino a qualche anno fa, il contrario, quando la Rete era solo uno dei mezzi di comunicazione utilizzati per impostare un’iniziativa di opposizione.

Quali sono i rischi e quali i vantaggi dell’uso della Rete in questo contesto?

I vantaggi sono la possibilità dell’accesso alle informazioni, che ci rende tutti dei cittadini digitali. I rischi stanno nel maneggiare le informazioni stesse, che possono essere manipolate o trattate, anche in buona fede, con superficialità, allarmismo, catastrofismo. Da qui il tema centrale che è emerso anche nel nostro “Rapporto No2.”, ovvero la (in) affidabilità delle fonti informative in Rete.

Ci sono piattaforme che lo favoriscono maggiormente?

Facebook per l’approfondimento e la condivisione dei contenuti, Twitter per la mobilitazione e il proselitismo veloce. Forum e Blog per l’informazione capillare “alternativa”.

Qual è la natura prevalente dell’informazione veicolata dai comitati dei No?  Quali sono le argomentazioni più ricorrenti?

Per rispondere sarebbe necessario spazio che sicuramente non abbiamo. In breve: inutilità dell’opera, catastrofe ambientale, spesso entrambe le argomentazioni. Magari qualche volta è pure vero. Registriamo in molte occasioni che le motivazioni a sostegno di queste tesi sono gestite da influencer della rete non proprio competenti sulla materia. Qualche volta da veri e propri apprendisti stregoni.

Eppure in nome dell’ambiente ci si oppone, in misura crescente, anche a progetti di energia rinnovabile. Vedi contro pale eoliche o di recente la geotermia. Come spiegare questo strabismo?

Totale sfiducia nelle Istituzioni, e negli enti tecnici e scientifici preposti al rilascio delle autorizzazioni e al controllo ambientale. Voglia di essere protagonisti del proprio territorio (è un bene), condita dalla pia illusione che il ritorno a un mondo “naturale” o bucolico sia la chiave del futuro. Bello, ma forse impossibile, non trova?

Forse più che opporsi a una specifica infrastruttura o progetto industriale, ostacolando la realizzazione di un’opera l’opinione pubblica manifesta una generica sfiducia nelle istituzioni e aziende?

Come dicevo prima: totale. I cittadini non si fidano più di nessuno. E, dobbiamo ammettere, come dar loro torto di fronte alle prove date negli ultimi anni dalle classi dirigenti (non solo politiche) del nostro Paese?

Se il fronte del NO catalizza così tante energie, non è anche colpa di uno Stato lacunoso nell’istituzionalizzare un processo deliberativo trasparente e partecipativo?

Ho dei dubbi. La Conferenza dei Servizi, se seguisse i tempi stabiliti dalla legge e non andasse avanti per anni e con indeterminatezza di decisioni, sarebbe un ottimo strumento di condivisione tra soggetti pubblici preposti. Il problema è che tali soggetti oggi rappresentano solo se stessi: le decisioni prese non vengono più riconosciute dai cittadini. Il dibattito pubblico, di cui tanto si parla, potrebbe creare ulteriori farraginosità nel Paese dei cavilli e delle procedure infinite. Mi sento di consigliare un po’ di cautela.

Il movimento dei No è un’espressione dell’antipolitica?

No, casomai il contrario: è sintomo della necessità di una politica che torni a fare il suo mestiere. Chiaramente all’interno del variegatissimo fenomeno del NO esiste la speculazione politico-elettorale, l’utilizzo del tono alto, il bercio talvolta volgare. Ma è il dito e non la luna.

Qual è il N°1 dei movimenti NO?

Facile: il movimento che si oppone al TAV. Per storia, tradizione oserei dire, consuetudine e capacità attrattiva sul tema. Oggi i NO TAV sono primi per volumi e per contenuti trattati sul web.

Un caso da manuale di cattiva gestione del dissenso sul territorio?

Scanzano Ionico per il deposito unico delle scorie nucleari. Ma anche il TAV fino al 2007 e, in alcuni territori, il dialogo (si fa per dire) con i cosiddetti NO TRIV che si oppongono alla ricerca di idrocarburi. In questo ambito sono emerse alcune figure di influencer che hanno orientato il dibattito su contenuti spesso non verificati scientificamente. E’ successo anche perché il settore E&P ha lasciato loro campo aperto fino a pochissimo tempo fa.

E’ un autentico movimento che nasce dal basso? Scollegato da partiti e sindacati? Non si ritrova una matrice di militanti anti-sistema ben organizzati che fiancheggiano ogni nuovo fronte di dissenso sul territorio?

C’è anche questo, certo. Ma io vedo tanta mobilitazione in buona fede, talvolta manipolata, e spesso completamente a-politica.

Eppure non c’è uno scollamento tra l’ipertrofia dell’opposizione su media e social e la realtà conflittuale?

Sì, ma chi decide (se decide) lo fa spesso proprio sulla base della realtà percepita (sui media e sui social). Chi si oppone (e chi propone) lo sa bene.

La protesta NO2.0 è un superamento o una trasformazione del noto fenomeno Nimby?

Il fenomeno Nimby a mio avviso è superato da tempo, nel senso che l’opposizione non ha più come oggetto l’evitare di deturpare il proprio “giardino”, ma ha come bersaglio l’intero giardino. In altre parole si sta sempre più contestando un modello di sviluppo, di industria e di economia. Legittimo per carità: purtroppo però lo si fa spesso utilizzando dati non del tutto verificati, e non tenendo conto che la popolazione della terra tende a crescere esponenzialmente. Quindi: come possiamo mai conciliare una decrescita (anche felice, ammesso che lo possa essere) con le esigenze di nutrire, abbeverare, difendere, riscaldare e far muovere miliardi di persone in più rispetto a solo pochi decenni fa? Dobbiamo riflettere molto bene, senza ideologizzare le posizioni, sui temi degli OGM, della tanto magnificata filiera corta, del mix energetico, della mobilità: ne va della sopravvivenza delle generazioni future, e non tra 100 anni, ma tra molto meno.

Intervista di Patrizia Feletig a Giovanni Galgano, apparsa su Contro l’Italia dei no – Il Rottamatore

Comments (0)

write a comment